
Per chi ama tutto quello che internet rappresenta, è un boccone amaro, ma che costringe a delle riflessioni.
Certo, bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza per capire esattamente il tipo di ragionamento seguito dal giudice, che dopotutto ha il dovere di applicare le norme a un caso concreto; sicuramente, il fatto che il video sia rimasto disponibile (e tra i più cliccati su Youtube) per oltre due mesi non depone a favore dei dirigenti: è stato rimosso solo a seguito di una richiesta specifica dell'autorità, altrimenti sarebbe ancora lì.
Da un punto di vista legale, è tutta una questione di privacy e non di libertà di espressione, ragion per cui molte delle questioni che vengono sollevate in queste ore da tutti i media tradizionali e online, italiani e esteri, così come il grido di allarme che si alza dalla blogosfera e che fanno della sentenza una prima manetta sull'intera internet, sembrano deviare e forse esagerare rispetto alla portata reale del fatto. Perchè in Italia, (almenochè non la pensiamo come Berlusconi e cioè che la magistratura è tutta corrotta) i giudici seguono le leggi scritte nei codici, nei regolamenti, non giudicano sulla base del precedente, noi italiani è al legislatore (parlamento-governo) che dovremmo guardare per capire che aria tira su internet, e non tira aria buona.
Chiaramente, se dovesse imporsi l'idea che l'intermediario (cioè chi mette a disposizione una piattaforma tecnologica per la distribuzione di contenuti come Youtube, ma perchè no anche Blogger o Wordpress, allora) è corresponsabile del contenuto stesso, saremmo nella cacca: chi pensa sia possibile questo è certamente un folle che non ha la minima idea di quanti nuovi contenuti UGC circolino online ogni istante, e ognuno di questi circola su piattaforme di terze parti. La piattaforma è uno strumento, neutrale, come la stessa videocamera. Vaneggiando e inseguendo questo modo di ragionare per assurdi si potrebbe anche arrivare a considerare corresponsabile il produttore di cellulari usato per fare il video oltraggioso, l'isp che ha fornito la connessione, ecc.
In attesa delle motivazioni sentenza, tuttavia, faccio anche una riflessione che va oltre Google:
fino a che punto in nome della libertà della rete deve essere sacrificata la riservatezza, la dignità del singolo?
I fatti come quelli che hanno portato a questa sentenza, che sono diversi, tanti e rispondono a definizioni come bullismo, razzismo, sessismo, brutalità, deficienza, violenza, sadismo, ecc., suscitano in rete un terribile voyerismo, è vero, ma rispetto alla enorme mole dei contenuti che girano sono una goccia nel mare.
Tuttavia per la persona-vittima di questo tipo di violenza quella goccia può scavare la carne.
Bisogna fare in modo che il potere di autoregolamentazione della rete, i suoi anticorpi, migliorino, un dovere che abbiamo tutti.